martedì 1 maggio 2012

La moderna critica alla religione

Dopo la nascita della filosofia idealista si è progressivamente sviluppata una critica nei confronti della religione, che ha avuto una forma particolarmente esplicita ed influente nel pensiero di Nietzche, sintetizzabile nell'annuncio "profetico": "Dio è morto". 
Con lui e prima di lui, Ludwig Feuerbach ha contribuito decisamente al compimento della "svolta antropologica" - la rivoluzione copernicana nella filosofia - che ha voluto rimuovere la religione dall'orizzonte spirituale, relegandola nella sfera della psiche. La severa critica di tipo storico-filosofico da lui promossa si basa sulla convinzione che la religione sia una creazione fantastica dell'uomo, nata dal suo istinto di conservazione e dal suo impulso alla felicita'. "Gli dei sono i desideri dell'uomo pensati come reali, i desideri dell'uomo trasformati in esseri reali" (L. Feuerbach, Lezioni sull'essenza della religione, cit. in H. Zarhnt, La sfida della moderna critica della religione, Queriniana, 1981, p. 10).
Parallelamente, da un'altra prospettiva, Marx avanza la sua critica storico-sociale, fondata in parte sulla teoria della proiezione di Feuerbach. Per Marx l'inclinazione religiosa del cuore umano sarebbe una visione distorta (capovolta) del mondo, che avrebbe un effetto narcotico sulle coscienze (l'oppio del popolo) e che le classi sociali che dominano nello stato e nella società avrebbero interesse a diffondere e a consolidare.
Con la psicanalisi di Sigmund Freud, applicata alla religione, la critica si sviluppa anche in ambito storico-psicologico e si scaglia contro quella che sarebbe una nevrosi universale ossessiva: l'uomo ha personificato le forze della natura, le ha elevate a potenze che gli elargiscono conforto, gli offrono protezione, ne rinvigoriscono il minacciato sentimento di sé e lo aiutano, nello stato di abbandono in cui si trova, ad affrontare la vita (cf H. Zarhnt, op. cit., p. 18).

Siamo d'accordo con tutta la moderna critica agli "dei creati dall'uomo": un simile modo di intendere la divinità, non può che essere rifiutato e combattuto in quanto falsificazione della realtà, pura proiezione mentale, estraneazione o alienazione dell'essere umano dalla sua vera natura. Ma quello che i "maestri del sospetto" criticano, può ancora chiamarsi religione? Davvero la fede in Dio nasce da una malattia mentale?
Giustamente l'analisi psicologica ritiene possibile una regressione del pensiero (o una sua immaturità), in modo che anche nell’adulto si manifesti una mentalità infantile.  Ma la religione non può essere ri(con)dotta a questa forma distorta di psichismo.
A voler essere obiettivi, essa non nasce da un meccanismo proiettivo di difesa, ma dalla naturale attività della ragione umana che, riflettendo coscientemente sulla propria esperienza di vita, coglie il senso del sacro e della presenza di Dio attraverso i segni o tracce che di Lui si possono cogliere nella creazione ed in particolare nell’uomo, e attraverso l’incontro con una Persona che si rivela, intervenendo nella storia umana con eventi e parole. Non si può parlare della religiosità come di attività dipendente dall’inconscio, che deve essere portata a maturità nell’Io (conscio). 
Certo, sono possibili casi di regressione narcisistica in cui si attribuisce una personalità a cose inanimate e si pretende di dominarle o di ingraziarsele (come fanno i bambini con i genitori). L’errore sta nel non volere ammettere la possibilità di altri approcci ed esperienze e di voler rinchiudere qualsiasi differenza in una visione escludente ed intollerante (tipica di chi non ricerca la verità, ma si arrocca in difesa delle proprie opinioni). 
Punto di riferimento privilegiato, se non esclusivo per le teorie psicanalitiche è la casistica dei malati psichiatrici e questo è il grande limite metodologico e conseguentemente teoretico della psicanalisi freudiana e dei suoi successivi sviluppi.