giovedì 3 gennaio 2013

Cause dello sviluppo della mentalità magico-occultistica nella postmodernita/2

La crisi della ragione e il dogma del relativismo: fideismo e scientismo
Il contesto della post-modernità è segnato dalla consapevolezza di non poter conseguire una teoria certa a partire dal dato sperimentale e dal dubbio instillato dalla critica alla metafisica di poter giungere con la conoscenza intellettuale alla verità delle cose e dell'essere, e questo proprio sulla base della riflessione e della giustificazione del metodo scientifico/induttivo. Si fa strada, così, il relativismo che permea ogni campo del sapere e in modo particolare l’ambito della religione.

Nell’attuale contesto culturale, sembra che non si possa applicare il concetto di verità alle religioni e che ci si debba rimettere esclusivamente ad un giudizio soggettivo al di fuori di ciò che riguarda la scienza empirica. Più in generale la post-modernità ritiene che la verità non consista in una entità accessibile e vincolante per tutti gli uomini, ma sia il frutto di un compromesso stabilito sulla base della maggioranza. Questo concetto, applicato alla religione, implica che i dogmi cristiani siano visti come una assurda pretesa di verità, che viene appiattita in un sempre più vasto orizzonte di opinioni religiose, presentate su uno stesso livello, come prodotti di consumo disposti uno accanto all’altro in un supermercato, pronti per essere scelti in base ai gusti personali o agli “sconti” più consistenti.
Questo scetticismo del tutto generale nei confronti della pretesa di verità in materia religiosa è ulteriormente consolidato dai dubbi che la scienza moderna ha sollevato riguardo alle origini e ai contenuti del cristianesimo. La teoria evoluzionistica sembra aver superato la dottrina della creazione; le conoscenze che concernono l’origine dell’uomo sembrano aver superato la dottrina del peccato originale; l’esegesi critica relativizza la figura di Gesù e mette punti interrogativi sulla sua consapevolezza d’essere il Figlio; l’origine della Chiesa in Gesù appare dubbia, e così via. La “fine della metafisica” ha reso problematico il fondamento filosofico del cristianesimo, i metodi storici moderni hanno posto le sue basi storiche in una luce incerta. Così è naturale anche ridurre i contenuti cristiani a simboli, non attribuire loro nessuna verità maggiore di quella dei miti della storia delle religioni, considerarli come una modalità di esperienza religiosa che dovrebbe collocarsi umilmente a fianco di altre. In questo senso si può ancora – a quanto pare – continuare a rimanere cristiani; ci si serve sempre delle forme espressive del cristianesimo, la cui pretesa però è radicalmente trasformata: quella verità che era stata per l’uomo una forza obbligante e una promessa affidabile, diventa ormai una forma di espressione culturale della sensibilità religiosa generale, espressione che ci è suggerita a causa dell’accidentalità della nostra origine europea. (J. Ratzinger, Fede, verità e tolleranza. il cristianesimo e le religioni del mondo, Ed. Cantagalli, 2005, p.78-79)

Oggi sembra del tutto giustificato l’abbandono del cristianesimo e delle sue certezze ed il ritorno a forme sempre più diffuse e variegate di paganesimo e di religiosità primitiva. L’opera di evangelizzazione e di purificazione delle culture operata dalla Chiesa è vista come una specie di colonizzazione che ha cancellato le tradizioni dei popoli e delle culture preesistenti. Al grido “Restituiteci le nostre religioni!” si fanno avanti numerosi movimenti e gruppi che vorrebbero riesumare le credenze e le tradizioni del passato, sostenendo l’uguaglianza di tutte le religioni, poiché tutte avrebbero la capacità di far incontrare l’uomo con Dio. La mentalità contemporanea vorrebbe tutte le religioni ugualmente vere, o meglio, parzialmente vere, cosicché nessuna avrebbe il carattere di verità e tutte sarebbero intercambiabili. Ma è proprio così? In nome della libertà religiosa si devono tollerare tutte le forme espressive religiose o pseudo-religiose? Non c’è alcun criterio di discernimento circa la validità e la bontà di una fede o di una credenza?
La religione degli Aztechi prevedeva la pratica dei sacrifici umani per garantire la continuità e la sopravvivenza della specie, nel fanatismo di una fede che credeva che il dio Sole si nutrisse del sangue umano sparso in sacrificio e soltanto così si potesse garantire l’esistenza del mondo. Una tale fede, svincolata da ogni forma di razionalità e di buon senso, può considerarsi accettabile? Nei riti satanici, in cui si abusa delle persone e della loro dignità e dove vengono immolate vittime innocenti per “ingraziarsi” il potere di Satana, siamo ancora in presenza di una “religione” uguale alle altre? Se in nome di Dio una religione ammette la violenza all’uomo, giustificando la “guerra santa” per eliminare coloro che professano una fede diversa, certamente essa non può essere paragonata alle altre religioni e forse non dovrebbe nemmeno essere tollerata.
Una ragione che voglia raggiungere la verità è oggi vista come autoritaria e intollerante e chi ragionevolmente afferma di possedere una certezza in campo morale o metafisico rischia di essere considerato un fondamentalista.